illustrazione di Cristina Sugamele
Era un piacevole pomeriggio di inizio ottobre.
Ettore si trovava nel parco sotto casa, seduto sulla sua panchina, col mento appoggiato al bastone, all’ombra di una stupenda e profumata pianta di melograno.
Si recava lì, ogni giorno alle tre in punto: era il suo momento di ristoro, una angolo di pace tutto per sé, in cui poteva perdersi nei ricordi e ritrovare sé stesso.
L’albero, alto circa 4 metri, generosamente lo proteggeva dal sole, soprattutto quando colpisce obliquo, nelle ore pomeridiane, e l’ombra dei rami si spalma lentamente e delicatamente sul terreno.
Quella pianta era lì da che ne aveva memoria: era un piccolo arbusto, ma con l’inesorabile trascorrere del tempo, divenne un bellissimo albero dalla larghe fronde; come Ettore, che da vivace monello era diventato dapprima un bel ragazzotto robusto, in seguito un uomo distinto e piacevole ed infine, un vecchietto arzillo dal sorriso disarmante.
Le stagioni della vita di Ettore e del melograno si erano fuse, in una sorta di simbiosi.
Fu all’ombra del melograno che vide per la prima volta Melania, sua compagna di giochi che divenne compagna di vita.
Melania adorava la rossa corolla del fiore di melograno, che nel mese di marzo inondava di profumo l’intero parco. Quando ad ottobre il frutto era oramai maturo, era solita salire scalza sulla panchina e in punta di piedi si sporgeva per raccoglierne nel suo grembiule quanti più poteva.
Su quella panchina, Ettore fece la sua dichiarazione d’amore a Melania, passandole un rosso fiore di melograno tra le dita. Lei disse subito“Sì!”. Fu sempre lì che Melania gli diede la notizia più bella:“diventerai padre!”; ma anche quella più brutta: “Ho il cancro.”.
Ettore si recava in quel parco per perdersi nei ricordi ed abbandonarsi completamente ad essi. Ma quel pomeriggio i ricordi erano più vividi che mai. Vide Melania giovane e sorridente, con indosso il solito grembiule, tendergli la mano.
Le palpebre di Ettore si fecero pesanti, il suo respiro sempre più lento e debole, eppure sorrideva dolcemente. Accasciò delicatamente la testa sulla spalla ed emanò un ultimo respiro.
Dormiva, felice, cullato dal dolce suo sogno d’amore.