sabato 28 febbraio 2015

Peppino e la bella Elvira (terza parte)







Illustrazione di Cristina Sugamele






 Illustrazione di Chiara Nastro


La via indicata era impervia e faticosa, ma a Peppino non importava, poiché ogni passo lo avvicinava alla meta tanto agnognata.
Finalmente arrivò al castello e, come previsto dal fantasma, la strega era lì ad aspettarlo.
Era molto più brutta di come la ricordava, tutta china su sé stessa e dalla nere vesti, al punto che, nonostante il suo coraggio, Peppino trasalì vedendola apparire all’improvviso sul punte levatoio.
“Ben arrivato ragazzo, ti stavo proprio aspettando: accomodati, sarai esausto.”
Peppino si ricompose immediatamente ed avanzò senza mostrare alcun timore. Come aveva previsto il fantasma, la vecchia provò ad offrirgli di tutto, ma Peppino trovava sempre una scusa per rifiutare: era astemio, era sazio, non fumava, rifiutò persino la cioccolata! E così la vecchia strega capì: “Qualcuno deve averlo informato delle mie intenzioni” Mormorò tra sé se sé.
“Mi scusi signora” disse ad un certo punto Peppino: “Credo sia meglio venire al dunque. Io sono qui solo per la Bella Elvira: posso vederla? Voglio chiederle di sposarmi”
“Ah beh, complimenti per la tua solita faccia tosta, non ti smentisci mai!” Rise la vecchia con una vena di sadismo.
“Non ti sarà facile portare con te la tua bella: se proprio ci tieni a incontrarla e chiederla in moglie, dovrai prima superare tre prove”.
Appena la strega gli propose le prove, Peppino, anziché spaventarsi, si sentì ancora più entusiasta; probabilmente la sua era solo incoscienza, ma l’idea di conquistare la sua bella mettendosi alla prova lo esaltava.
“Bene, procediamo allora!” Disse la strega mettendo il suo scheletrico braccio attorno alle spalle del ragazzo, per condurlo nella camera da letto.
“Oh, fece Peppino, credevo di dover iniziare subito, invece mi avete accompagnato a riposare? Siete gentile, ma io vorrei sbrigarmi.”
“Oh no, mio caro! Non ti ho condotto qui per farti dormire, ma proprio per permetterti di svolgere la tua prima prova: devi semplicemente rifare il letto!”
“Oh, tutto qui? Insomma, sarò anche un ragazzo ricco e un po’ viziato, lo ammetto, ma sono capace di rifarmi il letto, sa?” Ripose Peppino quasi risentito per la semplicità della prova.
“Aspetta, non ho finito…” Fece la vecchia con un sorriso sadico: il cuscino non deve toccare le lenzuola, le lenzuola non devono toccare il materasso, il materasso non deve toccare la rete e la rete non deve toccare il pavimento.”
Peppino si mise le mani tra i capelli: “Cosa? Ma chiedete l’impossibile, è semplicemente assurdo!”
“Oh beh, ti avevo avvisato che non sarebbe stato facile. Hai tutta la notte a disposizione, buona fortuna, mio caro ragazzo!”
La strega lasciò la stanza sghignazzando, e il povero Peppino si sedette sul letto disperato.
Dopo qualche ora, udì un rumore di passi, ma non era certo la camminata strascicata della strega: i passi erano soavi, come se la creatura sfiorasse appena il pavimento. All’improvviso la porta si aprì ed apparve una stupenda fanciulla dai capelli rossi come rubino e gli occhi verdi come smeraldo. 

Peppino la riconobbe all’istante: era la sua bella Elvira! Aveva tante cose da dirle, ma lei lo placò con un segnale, intimandogli di tacere. Poi schioccò le dita e, come per incanto, il letto era pronto, secondo il capriccio della vecchia strega. Così come era apparsa, Elvira svanì dopo aver concesso un luminoso sorriso al suo spasimante.
All’indomani, quando la vecchia constatò che la prova era stata superata, borbottò tra sé: “Ahi, ahi! Qui c’è lo zampino della bella Elvira”. Non potendo provare il suo sospetto, fece un sorriso di circostanza, e poi aggiunse: “Ben fatto! Adesso dovrai affrontare la seconda prova”.
La strega condusse Peppino nella sala da pranzo.
“Oh, bene” fece Peppino, “dopo una notte in bianco mi ci vuole una bella colazione!”
“Oh, ma non devi mica mangiare: devi solo apparecchiare”
“Ah ecco...” Peppino aveva un triste presagio.
“Mi raccomando però, Peppino: le stoviglie non devono toccare la tovaglia, la tovaglia non deve toccare il tavolo e il tavolo non deve toccare il pavimento.”
“Ecco, mi pareva…” Disse Peppino rassegnato.
“Bene, ti lascio, avrai tutto il giorno a disposizione!”.
Peppino temeva che in pieno giorno, la sua bella Elvira non si sarebbe mostrata, ma invece, qualche ora dopo, sentì la stessa camminata soave, poi la porta si aprì ed apparve Elvira, che schioccando la dita, apparecchiò la tavola con un incantesimo.
Questa volta Peppino desiderava parlare, ma lei fece no con la testa, gli sorrise, e gli fece intendere che si sarebbero rivisti presto.
Giunta la sera la vecchia entrò , e di nuovo, vedendo il suo ordine perfettamente eseguito, borbottò tra sé “Ahi, Ahi! Qui deve esserci lo zampino della bella Elvira”.
“Ma che bravo”, disse la strega sarcastica e infastidita. Molto bene, hai ancora una prova da superare: vediamo se la fortuna ti sorriderà ancora.
Per la terza ed ultima prova, la strega condusse Peppino in un enorme granaio.
“Bene, eccoci al dunque: la terza prova , come potrei immaginare, è sempre la più difficile: consiste nel riporre tutto questo grano nei sacchi.
“Beh, effettivamente  è un lavoraccio: il granaio è pieno, ma come sa, la fatica non mi spaventa!”
“Già, ma dovrai rispettare la solita regola: il grano non deve toccare i sacchi e i sacchi non devono toccare il terreno.

 “Immaginavo…” Rispose Peppino.
Stavolta però, il ragazzo contava sull’aiuto di Elvira, che puntualmente apparve qualche ora dopo; pronunciando la formula magica e schioccando le dita, anche stavolta aiutò Peppino.
“Ti prego” intervenne Peppino “Ora siamo fuori dal castello, la strega non può sentirci,  permettimi di parlare un po’ con te”.
“Stavolta si!” Asserì Elvira: “Anzi, ho proprio bisogno di parlare con te, per avvertirti: quando vedrà che hai superato anche la terza prova, la strega si fingerà bendisposta, ma poi durante la notte verrà ad ucciderti!”
“Beh, basterà partire immediatamente!” Disse Peppino con tono sicuro e risolutivo.
“Non ce lo permetterà, la conosco bene! E’ meglio che tu finga di accettare la sua ospitalità per stanotte, ma tieniti pronto: a mezzanotte vai nella stalla e sella il cavallo bianco e quello nero. Stai lontano da quello rosso, per carità: è il cavallo magico della strega e nessuno gli si può avvicinare, tranne lei! Io ti raggiungerò dopo averla fatta addormentare  con uno dei miei incantesimi.”
“Allora, non vedo l’ora che giunga la mezzanotte” Disse Peppino prendendole la mano.
“Sii paziente e fiati di me! Ora devo andare, non dobbiamo correre rischi!”.
Peppino le baciò la mano e la lasciò andare.
Poco dopo arrivò la strega, e dopo il suo solito borbottio: “Ahi , ahi, qui ci deve essere lo zampino della bella Elvira!”, finse di congratularsi con Peppino.
“Ma che bravo, sei evidentemente degno della mia bella Elvira! Manterrò la promessa, ma oramai è tardi: vai a dormire, domattina di buon ora ti presenterò la tua bella e potrete andare via insieme”.
Peppino per non destare sospetti si mostrò come sempre impaziente chiedendo di andare via subito, ma ovviamente la strega insistette per farlo restare.
Durante la notte, mentre Peppino si stava preparando per la partenza, Elvira entrò nella stanza della vecchia Strega.
“Oh mia signora” Fece Elvira: “Hai l’aria molto tesa stanotte”
“Ho le mie buone ragioni, mia cara!” grugnì la strega.
“Beh, mi permetta di aiutarla: lasci che le spazzoli i capelli, la farà sentire meglio”
“In effetti è molto che non ho cura della mia persona: procedi pure Elvira”.
Le spazzolò i capelli per ore, cantando una nenia , e finalmente, la strega cominciò a sentire le palpebre pesanti, e pian piano cadde in un sonno profondo.
Elvira raggiunse Peppino nella stalla, montarono a cavallo e fuggirono.
Ma la strega era molto potente, e l’incantesimo di Elvira non durò a lungo.

lunedì 2 febbraio 2015

Peppino e la bella Elvira (seconda parte)




illustrazione di Cristina Sugamele


 Illustrazione di Chiara Nastro

Per ben tre anni, Peppino girò il reame in lungo e in largo, ma nessuno aveva mai sentito parlare di questa bella Elvira.
Sfiduciato, stanco e affamato, stava sfiorando l’idea di arrendersi; come se non fosse già sufficiente il suo umore a rendere cupa l’atmosfera, d’improvviso un lampo  squarciò l’orizzonte, e un fortissimo tuono annunciò l’imminente temporale.
Fortunatamente nelle vicinanze vi era una locanda, in apparenza abbandonata, ma Peppino, non avendo nulla da perdere, si avvicinò in cerca di riparo.
“C’è nessuno? Per favore, aprite, sono un viaggiatore stanco e affamato ed ho bisogno di un rifugio in questa notte di tempesta.”
Un uomo di mezza età, con due grossi baffoni arricciati e la testa tonda e pelata saltò fuori come un ragnetto dal buco, alzò la sua lanterna e con voce tremante disse: “Oh bel giovane, perché volete morire? Sarete anche forestiero, ma avrete di sicuro sentito parlare di questo luogo maledetto!”
“Veramente no!” Rispose Peppino più stanco che spaventato.
“Ma come no?” riprese il signore dai grossi baffi : “Tutti sanno che questa locanda di notte è dimora di fantasmi e che coloro che hanno osato restare anche solo una notte sono stati ritrovati morti il giorno dopo; persino io che sono l’oste ho paura di dormire nella mia stessa locanda!”
“Oh, sciocchezze! Da bambino ho riso in faccia ad una strega, figuriamoci se temo gli spettri! E poi, se ci sono davvero i fantasmi tanto meglio, mi terranno compagnia, ho sofferto tanto la solitudine negli ultimi due anni! La prego, buon uomo, mi lasci restare, mi prendo ogni responsabilità e a lei lascerò questa borsa piena di monte d’oro.”
“Ma siete così giovane, bell0 e a quanto vedo anche ricco: perché volete morire?”
“Stia tranquillo, non morirò di certo! Pensi solo a prepararmi una bella cena, perché sono a dir poco affamato, e poi, se ha paura, mi chiuda pure dentro. Domattina di buon ora verrà a svegliarmi”.
Data l’insistenza del giovane, e la quantità d’oro che gli era stata offerta, l’oste acconsentì. Preparò la camera e la cena e poi sparì nella notte.
Rimasto solo, Peppino si sedette a tavola.
“Pancia mia, fatti capanna!” Esclamò afferrando una bella coscia di pollo. Ma proprio mentre stava per dare il primo morso udì una voce in lontananza:
“Che faccio, mi butto?”
“Buttati e buon pro ti faccia!” Rispose Peppino
POUF! Subito un piede cadde sul tavolo.
Senza scomporsi, Peppino si limitò a dire: “Ma tu guarda che maleducazione: piedi a tavola mentre uno sta mangiando, bah!”
E provò nuovamente ad addentare il suo cosciotto, quando, di nuovo la stessa voce:
“Che faccio, mi butto?”
“Uff, che seccatura: ho detto, Buttati e buon pro ti faccia!”
POUF! Ecco l’altro piede.
“Ho capito, qui si va per le lunghe eh?” Fece Peppino senza scomporsi.
Per tutta la sera si ripeté la stessa scena: Peppino che provava ad addentare il suo cosciotto, la voce che poneva sempre la stessa domanda, Peppino rispondeva e un pezzo di corpo umano cadeva sul tavolo.
Quando finalmente fu il turno della testa, tutti i pezzi si ricomposero e apparve una figura dalle sembianze umane sopra al tavolo. Era un bell’uomo con i baffi da sparviero e abiti nobiliari, in perfetto stile shakespeariano.
“Oh, finalmente, abbiamo finito? Me lo fai mangiare questo cosciotto? anzi, già che ci sei, vuoi favorire?”
Il fantasma scoppiò a ridere, sorpreso e affascinato più che dal coraggio dalla simpatia e spavalderia del giovane.
“Grazie Peppino, mi hai salvato! Ero stato maledetto da una strega e condannato a infestare questa locanda fino a quando qualcuno dal cuore puro e l’animo coraggioso avesse lasciato che i miei pezzi si ricomponessero.”
Il Giorno seguente, l’oste aveva paura di aprire la locanda, temendo di trovare Peppino morto dallo spavento, come tutti prima di lui. Ma al suo arrivo ebbe una stupenda sorpresa: trovò il ragazzo tutto allegro alla finestra che gli faceva dei cenni affinché si affrettasse ad aprirgli la porta.
“Non posso crederci, che piacere vedervi sano e salvo!” Esclamò l’oste abbracciando il coraggioso ragazzo.
“Stia tranquillo signore: era un buon fantasma dopotutto! Ha detto che la maledizione è stata spezzata e che quindi da ora in poi tutti potranno pernottare tranquillamente nella sua locanda.”
Detto ciò riprese il suo cammino senza una meta precisa; ad un certo punto, sentì il desiderio di fumare e prese una sigaretta, ma appena accendeva il fiammifero, sentiva qualcuno che  soffiava alle sue spalle, spegnendolo.
Peppino si girò e non c’era nessuno.
“Bah, sarà uno scherzo della mia immaginazione”. Ritentò e nuovamente un soffio spense il cerino.
“Ah, ma allora non sto sognando, c’è qualcuno qui: è questa la riconoscenza per averti liberato? È vero che son ricco, ma anche i fiammiferi hanno un loro costo, se me li spegni tutti è un bello spreco!
A quel punto si sentì  una sonora risata e il fantasma si manifestò.
“Sei una forza!” Disse ridendo fino alle lacrime il fantasma: “ Non posso proprio farti nemmeno un po’ di paura, eh?”
“Dovresti conoscermi oramai!” Fece Peppino.
“Già, sei un gran bel tipo! Ed è proprio per questo, oltre che per gratitudine, che ho deciso di aiutarti: puoi smettere di girare invano, so dove si trova la tua bella Elvira.”
“Davvero?” Chiese Peppino col cuore colmo di emozione.
“Certamente! Caso vuole che la strega che mi maledisse è la stessa che ha maledetto te. Se vuoi trovare la tua bella Elvira devi andare verso Ovest, fino alla Montagna Nera. Segui il sentiero e troverai un vecchio castello.”
“Oh, grazie, vado subito!” Disse impaziente Peppino.
“Aspetta, non così in fretta: sappi che la strega è molto furba e ti starà di sicuro aspettando. Appena arriverai ti offrirà di tutto: cibo, vino, fumo, ma tu dovrai sempre rifiutare, perché sarà tutto avvelenato. Dovrai stare molto attento perché farà di tutto per impedirti di coronare il tuo sogno d’amore.”
“Grazie di cuore: l’avevo detto che sei un buon fantasma! Che tu possa da ora in avanti riposare in pace”.
Il fantasma sorridendo svanì per sempre.