mercoledì 29 ottobre 2014

Fuliggine e il segreto della notte di Ognissanti (Prima parte)



C'era una volta, tanto tempo fa, un adorabile gattino randagio, dal pelo completamente nero e un paio di occhi giallo senape che nella notte brillavano come fiammelle.
Faceva parte di una numerosa cucciolata "marzolina" ma, come spesso accade ai micetti, aveva perso in fretta le tracce della sua famiglia.
Prima della nascita dei cuccioli, la madre andava spesso a rifugiarsi in una roulotte abbandonata, dove quotidianamente alcuni umani, che l'avevano chiamata Perla, si degnavano di lasciarle un po' di cibo e talvolta dell'acqua, soprattutto in estate. Era una bella gatta grigia, una delle più "corteggiate" dai bei micioni del quartiere, amata dalle vecchie "gattare" e temuta dai pescivendoli della zona. Quando nacquero i gattini, tutti i bimbi del circondario si recarono alla roulotte e fecero a gara per accaparrarsi il più carino: "io voglio quello arancione tigrato", "a me piace quello pezzato" ,"oh guardate questo, sembra che porti i guanti e gli stivali, che buffo!".  
Uno ad uno, tutti i gattini trovarono un padroncino; tutti, tranne quello nero. Ad alcuni bambini piaceva, ma le madri non lo volevano, chi per sciocche superstizioni, altre intimorite da quei penetranti occhi gialli.
Perla lo tenne con sé per un po', fino a quando il sindaco si rese conto che quella roulotte abbandonata in mezzo alle sterpaglie era un simbolo degradante per il quartiere, ed era il caso di rimuoverla. Già che c'era, decise di dare una sistemata a quello spazio inutiulizzato e pieno di sterpaglie. La gente sperava di ottenere un parco o un giardino, ma quello spazio, la vecchia casa di Perla, sarebbe diventato presto un triste e anonimo parcheggio di periferia.
Quando arrivarono le ruspe, Perla in preda al panico fuggì, ma il suo piccolo, non ancora abbastanza veloce e scaltro, rimase indietro e non riuscì a ritrovare la mamma. Non sapeva nemmeno se era ancora viva o se le era capitato qualcosa, sapeva di essere solo, senza un rifugio sicuro e che procurarsi il cibo era molto difficile: tutti lo evitavano, nei migliori dei casi si limitavano a scacciarlo, nei peggiori tentavano addirittura di investirlo di proposito.
Fu un periodo terribile, ma come sempre accade nella vita, "niente di molto molto bello o di molto molto brutto dura molto molto a lungo". 
Un giorno, uno dei tanti in cui come al solito gironzolava senza meta, denutrito e un po' provato, fece un incontro fortunato: un gruppetto di ragazzini si avvicinò e iniziò a scrutarlo con attenzione. Il micino li guardò con sospetto e, bluffando clamorosamente, arruffò il pelo per mostrarsi forte e pericoloso. I bambini però non si spaventarono per niente, anzi lo trovarono tenero e buffo, e decisero di offrirgli un po' della loro merenda. 
Il gattino smise di soffiare e , perplesso, guardò fisso negli occhi i cinque ragazzini, tre maschi e due femmine, di età compresa tra i sette e gli undici anni. Non sapeva se fidarsi, ma di sicuro non ce l'avrebbe fatta a scappare, visto che non mangiava da giorni ed era allo stremo delle forze. Così decise di correre il rischio. Si avvicinò, con aria prima un po'  "minacciosa" e poi sempre più stupefatta alla manina che gli porgeva il biscotto e iniziò a leccarlo timorosamente. 
"Hai visto Mimmo" disse la ragazzina più alta "Devi essergli molto simpatico, è raro che i micetti prendano il cibo dalle mani delle persone".
"Oppure deve essere molto affamato" rispose sarcastico un altro ragazzino.
"E ti pareva che Nino il Sapientino non diceva la sua, tsè! non dargli retta Mimmo!" rispose la ragazzina con aria di superiorità
"Ben detto boss!" disse entusiasta l'altra bambina.
"Ehi, perché invece di litigare tra noi non diamo un nome a questo bel gattino?" Concluse saggiamente l'ultimo dei cinque.
"E' vero!" Rispose la ragazzina alta, "bella idea! Ma prima le buone maniere, dovremmo essere noi a presentarci al micio, non credete?"
Tutti scoppiarono in una risata talmente fragorosa che il gattino tentò la fuga, ma solo per qualche metro: non sapeva spiegarsi il motivo, ma quegli umani gli sembravano diversi dagli altri e non solo perché erano molto più bassi.
"Non scappare piccolo!" disse con un tono molto dolce e delicato la solita ragazzina, che era evidentemente davvero il boss di quella piccola combriccola. 
"Non devi avere paura di noi, saremo bravi con te! Io mi chiamo Gilda, e questo è il mio fratellino Mimmo. La  ragazzina dai capelli rossi è Patrizia, detta Patty, quello con l'aria da duro è Gaetano, detto Nino il sapientino e infine c'è Leonardo. Saremo i tuoi nuovi amici, ti va?"
Il gattino, che ovviamente capiva ogni parola degli sciocchi umani, era sempre più perplesso: nessuno era stato per tanto tempo vicino a lui senza gettargli contro un sasso o tentare di prenderlo a calci, e nessuno, che lui sapesse, si era mai degnato di presentarsi ufficialmente ad un gatto. 
"Sono umani strani, diversi..." pensava tra sé. "Forse potrei dare loro una chance : in fondo non è detto che tutti gli umani siano cattivi".
Il gattino si appropinquò lentamente allo strano gruppetto, e Mimmo tentò subito di accarezzargli la testa.
"Calma Mimmo, è ancora spaventato, dobbiamo conquistarci la sua fiducia." Lo ammonì la sorella
"E come si fa?"
"Come si fa con le persone, poco alla volta. Iniziamo col dargli un nome!"
Tutti quanti, sforzandosi di non alzare troppo la voce per non spaventare il loro nuovo amico, tirarono fuori un cumulo di nomi dolci ma tanto banali; da "Fuffi" a "Johnny" passando per "Nerone" e terminando con "Nerino".
"Ehi!" Esclamò nel bel mezzo della discussione Patty: "Ma state facendo solo nomi maschili, e se fosse femmina?" 
"Vero, occorre un nome unisex." Sentenziò Nino.
"Fuliggine!" Disse Mimmo.
Appena pronunciò il nome, il gatto, persa ogni diffidenza, si strofinò contro lo stivaletto di Mimmo, come a sottolineare che aveva gradito il nome.
"E Fuliggine sia!" Decretò Gilda. Erano tutti d'accordo ed estrermemente felici, sopratutto Fuliggine.
Quel giorno, il primo d'estate, che pareva essere iniziato come un giorno qualunque, si rivelò un giorno davvero speciale che cambiò per sempre le vite di cinque piccoli umani e di un gattino.
Finalmente, il cucciolo aveva un nome e non era più solo; certo, era sempre un randagio senza fissa dimora, ma adesso aveva degli amici che gli portavano cibo, acqua, carezze e protezione, specialmente Gilda che sapeva bene come mettere in fuga i bulletti da due soldi che amavano far del male ai deboli.
Furono i giorni più belli della sua vita!
Ma come ho già detto, niente di molto molto bello o di molto molto brutto dura molto molto a lungo.
 

giovedì 23 ottobre 2014

Come ti smonto "Maleficent" in tre punti

  
Angeline Jolie, Malefica "in carica" a confronto con  Malefica degli anni 50.
Immagine tratta da www.blogs.tribune.com



Tanto per fare qualcosa di diverso, stasera vi propongo un mio punto di vista su un film abbastanza recente: Maleficent.
Per onestà intellettuale, devo per forza esordire con la frase "odio quel film", e mi accingo subito a darvi le mie motivazioni, riassumibili in tre punti chiave.
Punto primo: totale nonsense della trama. Una Malefica buona è un ossimoro, una contraddizione in termini. Avendole completamente riscritto il passato, tanto valeva che le dessero anche un bel nome sdolcinato, tipo "Benevola", anche se così sarebbe sembrata l'ottava nana. Invece, la presentano come "la più buona delle fate"; dunque, la più buona delle Fate si chiama "Malefica", bene, figurati la più stronz...ehm, la più cattivella! Se le avessero dato un nome positivo, e lei poi, dopo la grande delusione d'amore avesse spontaneamente deciso di cambiare il suo nome in "Malefica", la trama avrebbe avuto un barlume di senso. Se devo essere dannatamente sincera, neanche con questo escamotage il film mi sarebbe piaciuto, perché io amo la vecchia Malefica a due dimensioni, quella che fa il suo ingresso con quella musichetta spettrale e quella gelida luce verde che mette i brividi e che da piccola mi ha fatto passare diverse notti in bianco: quello sì che è un personaggio ben riuscito!
Punto secondo: Per rendere buona Malefica hanno screditato le buone fate, che sono il mio mito, specie Serenella, e questo non lo potrò mai perdonare alla Disney! In Maleficent appaiono come tre beote egoiste e buone a nulla, completamente disinteressate alla piccola Aurora, per la quale non nutrono alcun affetto e di cui sono incapaci di prendersi cura; le fanno da zie perché sono praticamente obbligate a farlo, non perché la amano, e qua mi è partito proprio l'embolo: le fate hanno un ruolo fondamentale nella storia, specialmente Serenella. Non è infatti Malefica ad inserire la "clausola" del bacio del vero amore, ma la grintosa e battagliera fatina azzurra, uno dei personaggi femminili meglio riusciti nell'intero Universo Disney. Una piccola, coraggiosa e impulsiva fatina pronta a scagliarsi contro le forze del male senza un minimo di esitazione, che pur essendo pienamente consapevole dei sui limiti, non si fa certo mettere i piedi in testa, non rinuncia a lottare per sconfiggere le forze del male e fa tutto ciò che è in suo potere per salvare la piccola Aurora, facendole il dono più importante: non la bellezza, né la grazia, ma la speranza: "Principessina, se la triste profezia si avverasse, bimba mia, non per questo morirai, ma nel sonno tu cadrai finché amor ti bacerà. Sia questo il più fulgido dei tuoi doni: che la speranza mai ti abbandoni." Sono parole meravigliose, un invito a non perdere mai la speranza, anche quando tutto sembra perduto. Serenella è un personaggio chiave, amore e speranza sono le basi su cui poggia l'intera trama, e in Maleficent sono state annientate con un soffio.
Punto terzo: la morale del film è che il vero amore non esiste; intendiamoci, io sono la prima ad invitare le "principesse" a svegliarsi da sole, senza aspettare un principe che venga a salvarle, e adoro il film Sherk Terzo proprio per la scena in cui le "fragili" principesse bruciano i reggiseni e passano al contrattacco, loro sì che sono un esempio positivo. Ma il messaggio di Maleficent non è, come in Shrek , "principesse salvatevi da sole" , ma semplicemente "lasciatevi morire, che il vero amore è una fandonia", il colpo di fulmine può essere solo pura e semplice attrazione, mai vero amore. Ora, partendo dal presupposto che l'amore non deve essere il fulcro della vita di una donna, poiché ci sono tanti motivi per cui vivere e si può star bene anche da sole, e che trovare l'amore vero è difficile, arrivare a negarne l'esistenza mi pare un'esagerazione.
Inoltre, se vogliamo mettere i puntini sulle i, Aurora e Filippo non sono due sconosciuti che si sono visti per qualche minuto nel bosco, come vogliono farci credere, in realtà si conoscevano già nei loro sogni; la canzone "So chi sei" è una delle più belle nell'Universo Disney, non solo per le musiche di Tchaikovsky , ma per la scelta delle parole, l'invito a non smettere mai di sognare, poco importa se si tratta di sogni d'amore o di altro: ciò che conta è sognare! Invece, questo filmaccio insegna che l'amore che abbiamo sempre sognato è solo una favola, un'illusione da cui svegliarsi: si tratta di un assassinio di sogni! 
E' una cosa che detesto tanto quanto quelli che dicono ai bambini piccoli che babbo Natale non esiste, facendoli bruscamente svegliare dai loro sogni: la trovo una cosa odiosa, anche perché, ad essere precisi, Babbo Natale esiste eccome, è San Nicola di Myra (noto in Italia come San Nicola di Bari), un vescovo del IV secolo, quindi realmente esistito; se poi si vuol mettere in dubbio la "santità", beh quello è un altro discorso, ma si tratta comunque di un personaggio reale. 
Il vero amore per me è come le creature soprannaturali, come gli Elfi e le Fate: solo perché non li avete visti, non significa che non esitano! 
In conclusione, con Maleficent hanno infangato un capolavoro della mia infanzia per vile denaro, e sono sicura che il povero Walt si starà rivoltando nella tomba. Hanno stuprato il mio classico Disney preferito, quasi come la Marvel, che oramai appartiene alla Disney, ha deturpato il personaggio di Spider-Man negli ultimi 2 film, ed io che sono cresciuta con il film "La bella addormentata nel bosco" non potrò mai accettare la versione di Maleficent, così come non potrò mai accettare Amazing Spider-Man.
Fine dell'arringa! 
N.B. Questa non ha la pretesa né la presunzione di definirsi "una recensione": è semplicemente il mio punto di vista.

martedì 21 ottobre 2014

Matrioska - Anima allo specchio


 

Illustrazione di Akemi Takada - "Mirror"



Non mi ritengo una persona asociale, solo è davvero difficile trovare persone con cui parlare, che ti capiscano senza giudicare. Nessuno merita di essere preso in giro per il semplice fatto che esiste ed è fatto in un certo modo; sembra un concetto estremamente semplice, eppure quasi nessuno lo mette in pratica.
Forse non dovrei mettermi sul pulpito dato che spesso son la prima che non riesce ad accettare gli altri, i loro modi di fare e di parlare.
Il problema è che non riesco a sopportare gli altri  perché faccio già fin troppa fatica ad accettare me stessa.
Non so perché, ma non mi piaccio, non mi piaccio per niente. Credo di avere molti pregi, di essere in gamba, ironica e intelligente, ma nonostante questo non mi piaccio.
Non mi piace il fatto che sono sempre triste, e probabilmente questa tristezza si rispecchia nel mio aspetto. 
Per anni ho creduto di avere il problema opposto, cioè che la mia ciccia, il mio essere bruttina e insignificante mi rendesse anche poco simpatica; invece, ora credo che sia il contrario.
La colpa è di questo mio caratteraccio, perché se avessi la forza di sorridere, di dire "me ne frego di quello che pensano gli altri" starei meglio e il mio aspetto fisico diventerebbe secondario.
Certo, posso dare la colpa ai bulli che mi hanno perseguitato durante l'adolescenza per tutta la vita, ma dentro di me so che è un alibi.
Quando mi alzo al mattino e mi guardo allo specchio, invece di partire alla spasmodica ricerca dei miei difetti, che ovviamente trovo con molta facilità, forse dovrei cercare di vedere in quello stesso specchio il riflesso della mia anima , capire cosa c'è che non va dentro e non fuori, cosa posso cambiare e cosa va bene così come'è.
Se fossi coraggiosa non mi limiterei a scrivere i miei pensieri sul diario, ma farei qualcosa di concreto per cambiare. 
Io scrivo perché nella scrittura trovo la mia forza, e magari questo mi aiuterà. Ma manca qualcosa, mi manca quella spinta, quella molla che mi faccia scattare e diventare la donna che desidero.
Mi manca qualcosa, ma cosa?
Mah, quando l'avrò trovata lo capirò...almeno spero!

martedì 14 ottobre 2014

Matrioska - quando finisce un'amicizia



 Illustrazione di Isa Bancewicz

E' ovvio che quando finisce un'amicizia, come per qualsiasi altro rapporto interpersonale, le colpe sono sempre da entrambe le parti; altrettanto vero è che c'è sempre una persona che soffre di più, e quella persona, chissà perché, sono io.
Sono sempre io che soffro di più, forse perché investo troppo nelle persone, le sopravvaluto, le vedo migliori di come sono in realtà.
Probabilmente tendo a sopravvalutare anche il concetto stesso di amicizia, come quello di amore, perché non posso fare a meno di constatare che le persone che ho amato, e che pateticamente mi ostino ancora ad amare, mi hanno cancellato con un colpo di spugna, mentre io, dopo mesi, non riesco a farmene una ragione, ci sto male, soffro.
Questo non vuol dire che io sia una povera vittima innocente, ho senza dubbio le mie colpe, e le mie non sono certo meno gravi di quelle degli altri; però io sono indubbiamente quella che ne risente di più, è un dato di fatto. Non riesco a gettarmi il passato alle spalle con la stessa facilità degli altri. 
Probabilmente è un mio limte, un mio problema e posso accettarlo: quello che non riesco ad accettare sono le ex amiche (peggio ancora se si tratta di ex fidanzati) che poi magari, come se nulla fosse, tornano a contattarti, a farsi sentire dopo anni, quando la ferita si è finalmente rimarginata. E senza nemmeno chiedere scusa, tornano e pretendono il perdono, e se non glielo concedi la cattiva sei tu!
Sarò strana, Ma credo di avere anche io, con tutte le mie stranezze, il  diritto di vivere a modo mio e di essere lasciata in pace, di stare tranquilla e non essere più importunata, soprattutto se è passato molto tempo, e ci sono state mille occasioni per chiarirsi.
In certi casi mi sarebbe bastato sentirmi dire solo: "Mi manchi, lasciamoci il passato alle spalle, ricominciamo da dove avevamo interrotto". Così, senza nemmeno chiarirsi o chiedersi scusa a vicenda; mi sarebbe andato bene, certo, ma dopo un mese o due, anche tre, ma non dopo più di un anno di assoluto silenzio.
E mi dicono "Ma come, dopo tutto questo tempo ancora ci pensi". In pratica, è andato tutto in prescrizione: ma dico io, tutto il tempo trascorso (e perso) non dovrebbe essere un aggravante? Fosse solo per il semplice fatto che , in quel lasso di tempo in cui loro hanno vissuto tranquilli, io ho sofferto, e proprio quando non ci penso più,ecco che ricicciano!
E ovviamente la cattiva sono io.
Poi vogliono anche farsi le loro ragioni: cari miei, qui oramai, non si tratta più di chi ha torto e di chi ha ragione, si tratta di rispettare i sentimenti. 
Ma forse chi non prova dolore e sofferenza per un distacco, ritiene anche gli altri incapaci di provare questi sentimenti. E' l'unica spiegazione che riesco a darmi.
 Però non mi fa sentire meglio, neanche un po'. E' come se avessi donato una parte del mio cuore a qualcuno che mi voleva bene, anzi a stento mi tollerava.
Io invece quando dico "ti voglio bene" lo penso davvero, e lo sento vibrare in tutta l'anima. Ma a quanto pare è un mio problema, quindi andiamo avanti e non pensiamoci più.

lunedì 13 ottobre 2014

Matrioska – Introduzione





 illustrazione di Isa Bancewicz

Matrioska non è una storia come le altre: è una sorta di “esperimento narrativo”, un racconto “sui generis” che per me rappresenta una sfida, in quanto  molto lontana dal classico schema narrativo canonico riscontrabile in tutti gli altri miei scritti.

Non vi è una cronologia precisa, non ci sono personaggi ben delineati né una sequenza di fatti : in poche parole non c’è trama solo una protagonista di cui non sappiamo praticamente nulla. Matrioska non ha un nome, o meglio, a noi non è dato saperlo; è una ragazza come tutte le altre, che ama scrivere i suoi più intimi pensieri in un diario, e quindi non conosciamo i fatti, ma solo il suo personale punto di vista.

Non c’è inizio e non c’è fine: solo una sorta di pensieri in libertà di una ragazza qualunque, senza età e senza  alcun riferimento alla sua vita reale. Possiamo immaginare che sia abbastanza grande da appartenere ancora alla generazione del diario cartaceo, ma non possiamo averne la certezza, poiché potrebbe anche scrivere queste cose sul suo pc in formato word.

Ho deciso di buttarmi a capofitto in questo “esperimento narrativo” senza alcuna presunzione, col solo obiettivo di provare a calarmi nei panni di “un’estranea” poiché nemmeno io, che sono l’autrice, so chi sia in realtà  Matrioska; lo scoprirò io stessa col tempo, man mano che i vari aspetti della sua personalità verranno a galla, pagina dopo pagina e lettera dopo lettera.

Da qui il nome Matrioska: la scopriremo tutti insieme poco a poco, ogni volta un po’ più in profondità.